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Terapia Manuale e Neurodinamica

Presentazione del corso Terapia Manuale e Neurodinamica

ECM 2025 Terapia Manuale e Neurodinamica

Docente Dott. in Fisioterapia Simone Scaglioni

TERAPIA MANUALE E NEURODINAMICA
Presentare un corso sulla terapia manuale oggigiorno potrebbe sembrare volere mettersi in trappola, dove le insidie sono rappresentate dai fondamenti “storici” su cui si basa tutto il suo approccio generale. La Neurodinamica, poi, viene troppo spesso considerata come una disciplina se’ stante, piuttosto che come materia di base. In tempi di EBM (Evidence Based Medicine) o, meglio, EBP (Evidence Based Practice – Evidence Based Physiotherapy), ogni affermazione necessita di riferimenti bibliografici affidabili (1,2).
Quando l’informazione corre in tempo reale attraverso i social media, accedere alla produzione scientifica è facile e comodo, perciò bisogna resistere alla tentazione di pubblicare pensieri propri, magari provenienti dalle esperienze cliniche, poiché è ancora più facile essere smentiti in pubblico per la carenza di “references” e “papers” a supporto. Intendiamoci: è indiscutibilmente giusto ed eticamente obbligatorio cercare continuamente di dare un minimo supporto scientifico a quanto si cerca di divulgare. Così come reputo ignobile che vi siano professionisti sanitari apertamente schierati contro il cercare un approccio clinico “Evidence Based”. Tuttavia, esistono dei “ma”. Anzitutto, va evidenziato come, in fisioterapia, sarebbe più opportuno parlare di “Evidence Informed Practice” (3), laddove si lascia ben più ampio margine alla propria esperienza clinica, anziché essere guidati esclusivamente dai dati pubblicati in letteratura. Questo per una serie di considerazioni: • L’assenza di prove a supporto di un approccio o un’idea non significa necessariamente infondatezza delle stesse. Questo ci costringe a muoverci nell’incertezza, l’“area grigia” della EBM; • L’impossibilità di effettuare RCT con esecutore del trattamento in cieco, in terapia manuale, ne limita la potenza degli esperimenti clinici stessi; • La metodologia utilizzata nella ricerca scientifica in fisioterapia è quella utilizzata nella ricerca condotta in ambito farmaceutico. L’applicabilità non è propriamente la medesima ma, attualmente, è la migliore che abbiamo a disposizione. Siamo sicuri, tuttavia, che sia la migliore possibile, tanto da basare tutte le nostre decisioni cliniche unicamente su tale strumento? • Se dovessimo trattare i nostri pazienti solo con ciò che è indiscutibilmente “dimostrato scientificamente”, allo stato attuale, faremmo il meglio per i nostri pazienti? • Siamo sicuri che il paziente che ci troviamo davanti risponda esattamente ai criteri di inclusione e di esclusione utilizzati nello studio sperimentale a cui stiamo facendo riferimento? La maggior parte delle volte, ad esempio, vengono esclusi i soggetti con comorbidità. La maggior parte dei nostri pazienti in quali condizioni cliniche si presenta alle nostre cure? La terapia manuale in Italia e all’estero, intesa come la OMPT definita da IFOMPT, ha proprio il grande merito di avere introdotto i criteri della EBP come fondamentali nel bagaglio culturale di tutti i fisioterapisti che si occupino di disturbi neuromuscoloscheletrici. Tutto con la consapevolezza che la propria storia nasce dall’incontro di menti sicuramente più “filosofiche” che “scientifiche” in senso stretto. Comunque, in questo panorama, stiamo assistendo ad un frenetico flusso di informazioni più “social” che “evidence” con l’obiettivo di togliere credito alla terapia manuale, criticandone la validità, l’affidabilità, la specificità e l’efficacia stessa. Se, da un lato, tutto questo è assolutamente lecito, caratterizzandone ambiti, indicazioni e reali necessità, dall’altra rischia di screditarne la reputazione, la professionalità di chi la utilizza e la serietà di chi la insegna. Personalmente tendo a vedere enfatizzati tali atteggiamenti soprattutto nelle nuove generazioni di fisioterapisti, che sono molto più avvezzi della mia all’utilizzo di banche dati online, ma che poi mancano della capacità critica di selezione delle informazioni, affidandosi con illecita facilità a strumenti comodi come le infografiche che sintetizzano colpevolmente concetti molto più complessi. Nel corso dei miei ultra-ventennali anni di carriera ho rivisto ampiamente ruolo e utilizzo della terapia manuale nella pratica clinica. Questo non significa assolutamente rinunciarvi o condannarne l’utilizzo. Tutto questo verrà affrontato criticamente nel corso, proprio da chi, come me, non produce letteratura scientifica, ma la conosce e la studia, applicandola criticamente e clinicamente, con la consapevolezza di tutti i limiti che ci devono portare al dubitare costantemente. Tutto il corso verrà articolato partendo dalla strutturazione di un ragionamento clinico che porti alla formulazione costante di ipotesi multiple, cercando in ogni situazione gli strumenti (test) che ci possano aiutare a confutare o confermarle. Non è un caso la definizione che IFOMPT, in occasione del suo congresso a Cape Town nel 2004 ha dato di “terapia manuale” sia la seguente: “La Terapia Manuale Ortopedica è un’area specialistica della fisioterapia/terapia fisica per la gestione delle condizioni neuro-muscolo-scheletriche, basate sul ragionamento clinico, utilizzando approcci di trattamento altamente specifici inclusi tecniche manuali ed esercizi terapeutici. La Terapia Manuale Ortopedica, inoltre, include, ed è guidata, da evidenza clinica e scientifica disponibile e struttura biopsicosociale di ogni singolo paziente” (general meeting IFOMT, Cape Town, 2004). Ne emerge chiaramente come la terapia manuale non sia mera esecuzione di tecniche manuali, ma piuttosto un complesso procedimento valutativo e di trattamento del paziente che, non solo prevede un’analisi dei risultati mediante un adeguato ragionamento clinico, ma includa l’elaborazione di un appropriato programma di esercizio terapeutico. Questo rappresenta il filo conduttore di tutto il corso. Il disturbo più frequente che porta una persona alla ricerca di un fisioterapista è senza dubbio una “sgradevole esperienza sensoriale ed emotiva associata a, o che sembra essere associata a danno tissutale reale o potenziale” (I.A.S.P.), in una parola “dolore” (4). Ne consegue che l’obiettivo principale non possa che essere quello di alleviare la sofferenza del paziente. La sfida è quella di ottenere questo risultato non solo nel breve, ma anche nel lungo termine. Storicamente si pensava di alleviare il dolore derivante da articolazioni ipomobili e che quindi fosse necessario ripristinarne la corretta mobilità per risolvere definitivamente il problema (5, 6,7). Non è pensabile, alla luce delle conoscenze attuali, limitarsi ad una tanto ristretta visione: sappiamo che i meccanismi neurofisiologici sono ben più complessi e che la mobilità a disposizione di un’articolazione non sia necessariamente correlata all’esperienza di dolore (8). Tuttavia, sappiamo che gli strumenti clinici più potenti a nostra disposizione per potere compiere la scelta terapeutica più efficace, sono le manovre manuali in grado di riprodurre e di risolvere/alleviare i sintomi del paziente (9, 10). In questo, a mio avviso, la terapia manuale e le sue tecniche sono armi a cui il fisioterapista moderno non può rinunciare, anche per potere selezionare l’esercizio terapeutico più efficace. Il focus del corso è rappresentato dalla “neurodinamica”, termine spesso inteso come uno strumento, un’opzione in mano al fisioterapista per potere risolvere problemi altrimenti non affrontabili. Credo che l’errore più grande, dietro a tali convinzioni, stia nel fatto che la neurodinamica vada considerata al pari dell’anatomia, della fisiologia e della patologia: una materia di base imprescindibile dal bagaglio culturale di ogni fisioterapista che si occupi di disturbi muscoloscheletrici. Da un punto di vista diagnostico, troppo spesso si cerca di usarlo come strumento utile a diagnosticare specifiche condizioni cliniche, ma diversi autori ne hanno dimostrato grandi limiti (11, 12). In questo senso è opportuno sottolineare che il grande aiuto che i test neurodinamici, in quanto test di provocazione del sintomo, assieme alla palpazione del sistema nervoso, dovrebbero semplicemente servire per rispondere alla domanda: “è possibile escludere che il sistema nervoso periferico sia struttura coinvolta nella genesi della sintomatologia del paziente?”. Nel caso di risposta affermativa, data la buona affidabilità intra-esaminatore (13, 14), il fatto di apprendere correttamente l’esecuzione di tali test, sarà uno strumento irrinunciabile per una attenta rivalutazione in corso degli eventi del paziente. “Neurodinamica” è un termine che non significa semplicemente “movimento del nervo” (15, 16), perciò la sua piena comprensione potrà permettere al fisioterapista di capire quale tipo di trattamento sia il più indicato a quale condizione, e se, eventualmente, sia indicato o meno sottoporre a stress il tessuto nervoso. Sarà proprio il concetto di dosaggio dello stress a cui permettere adattamento dei tessuti che guiderà i partecipanti a elaborare il trattamento più adeguato al caso.
 
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